Descrizione
Giuseppe Manetti
Maledetta guerra
prefazione di Antonio Gibelli
Firenze, Pagnini Editore, 2008
pp. 88 con ill. – euro 12,50
Un contadino toscano è richiamato sotto le armi a trentadue anni durante la Grande Guerra. Costretto a lasciare i numerosi fratelli, il suo lavoro e la moglie incinta, da autodidatta, affida a due piccoli quaderni la testimonianza di sedici mesi, dal 1917 al 1918, prima di addestramento a Modena, poi di guerra, ma soprattutto di grande nostalgia per la moglie e di tenerezza per la figlia che non ha visto nascere. Pensando a una sua probabile morte scrive nella prima pagina: “O essere umano che troverai questo libretto, tù lo spedirai alla mia cara famiglia, in nome di Dio” e più avanti, premurosamente, “mia cara moglie, quando ti giungerà questo libriccino, io sarò belle estinto io capisco quale effetto ti farà ma io ò pensato di far così in modo che tu non stia qualche mese senza sapere ciò che mi e accaduto”. La sua ostilità verso la guerra è un aspetto costante delle sue riflessioni, “come se li omini fossero bestie ferocie, quello che penso entro di me e questo, me, mi uccideranno ma io non potrò avere il coraggio di uccidere un altro per quanto i nostri superiori ci dichino che sono nemici i governi ma no io che non li conosco neppure” e ancora: “bisognerebbe vedere quanti lavori di offesa e difesa qua si è creato, un altro nuovo mondo trasformato tutto dalla natura di un terreno civile in una natura artificiale bellica poveri omini tutti i vostri studi come male li ai adoperati!”. Commenta continuamente la distruzione che la maledetta guerra porta con sé: “quanto siamo in civili!”. Il racconto più drammatico è quello dei soldati e dei civili durante la ritirata di Caporetto: incendi, distruzione, pioggia, fango e soprattutto saccheggi, “sopportando quelli in coscienti che in cosi tristi momenti si gettano nel vizio e si bevono la testa che in questi casi in vece di averne una ce ne vorrebbe due, sghignazzano gioiscono della ritirata, poveri uomini! quanto siete inferiori di quanto vi giudicavo quando ero a lavorare i miei campi”.
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