Descrizione
Concetta Ada Gravante
Il marito taciturno
memoria-diario 1940-1977
prefazione di Saverio Tutino
Milano, Terre di mezzo, 2002
Collana I diari di Pieve
pp. 225
“12 maggio. Cosa c’è sparso sul comò della mia camera? Sono frammetni di carta, poco più grandi di un coriandolo, su ognuno dei quali si può decifrare, al più, una sillaba: ma è la mia calligrafia? Apro il cassetto nel quale conservo i miei diari e resto inchiodata al suolo, mentre lo specchio mi rimanda l’immagine del mio volto cereo per la paura e l’ira: i miei quaderni non ci sono più.”
“Il marito taciturno” è il diario di 58 anni della vita di Ada, giovane e bella ragazza napoletana, di famiglia modesta, ma intraprendente e spigliata. Il 23 dicembre 1942 sposa Giorgio, un ufficiale del Genio, che, scambiati gli anelli, si trasforma da premuroso corteggiatore in guardiano della sua vita. Al mutismo e alla gelosia ossessiva del marito, che arriva a distruggere i ricordi del suo passato, Ada oppone l’ostinata ricerca di un’esistenza “normale”. Un diario clandestino teso come una corda, quella della scrittura, a cui Ada si appiglia per resistere. Dove l’amore trionfa nonostante tutto.
Ilaria –
i dolori di una «statuetta di bisquit»
Addentrarsi nella storia di Concetta (detta Ada per “scuorno” della “supponta”) narrata in autobiografia [eventi 1940-1977] e diario [1977-1996], è un piacere che diventa pian piano ansioso viaggio in un crescendo di dramma e passività.
Da Villa Literno/Capua, nei ruggenti anni ‘40 fatti di stenti e dignitosi lussi, la sua vita di studentessa presso l’Istituto Orientale si svolge tra incontri scanditi dagli orari ferroviari sullo sfondo della tratta Roma-Napoli. Numerosi spasimanti pendolari (tra cui l’amore dettato dal destino con un certo Principe Azzurro) e numerose corrispondenze vengono messe da parte in favore di un misterioso e sconosciuto ingegnere pescarese impostosi nel suo futuro, che dal giorno stesso del matrimonio si rivelerà essere un personaggio intollerante, solitario e privo di ogni senso pratico.
Da questo momento inizia il calvario di Ada, lontana dagli affetti e dagli amici, costretta a convivere con i nuovi parenti serpenti e l’assurda schizofrenia (una mai specificata “malattia”) di Giorgio. Le numerose gravidanze interrotte riempiono gli anni di guerra passati in fuga dai bombardamenti o nei ruderi della popolosa magione pescarese di proprietà del suocero. Avere un bambino diventa l’unico motivo di speranza che muove le giornate della protagonista: finalmente riuscirà ad avere due figlie, ma quando queste abbandoneranno il nido per formare famiglia a loro volta, decenni dopo, lei resterà sola e bloccata in casa col marito.
È così che nasce la redazione di questi scritti, figli dello sfogo e del terrore coltivati su diari nascosti, camuffati nei cassetti, da lui spesso rubati e poi restituiti: «Così, un po’ per notte, ho costruito il mio diario; come è venuto è venuto. Man mano una rilettura veloce e la voglia di distruggerlo. […] Da anni scrivo così, per sfogarmi, perché non ho nessuno con cui parlare»; «Che tristezza struggente non poter mai dire: “Ricordi?”».
Nel testo Ada si rivolge continuamente agli anni venturi, dando loro del tu. Purtroppo pochi di loro si avvicenderanno portando novità positive [«Ben arrivato 1948, […] sarai un anno importantissimo per noi donne, che andremo a votare per la prima volta»; «Benvenuto 1951, durante il tuo percorso compirò trent’anni. Solo trenta per tanto dolore?» ecc.]. Nel galoppante esaurimento nervoso che permea ogni pagina, resta una vaga civetteria a cui aggrapparsi nelle descrizioni dettagliate degli abiti indossati un tempo, e nella consapevolezza di avere, nonostante tutto, un volto carino che ricambia lo sguardo dall’altro lato dello specchio.
Sembra assurdo accorgersi, pagina dopo pagina, di compenetrare l’angoscia della protagonista; sperando invano in un cambio di rotta e in una liberazione da quelle catene coniugali che hanno tramutato un’autobiografia vivida e spensierata in un diario thriller, monotono e sconsolato.