Paola Tellaroli / Tutta la polvere del mondo in faccia – attivalamemoria

Paola Tellaroli / Tutta la polvere del mondo in faccia

 14,00

Tutta la polvere del mondo in faccia
prefazione di Massimo Cirri
Milano, Terre di mezzo, 2024
p. 216

 

Descrizione

Tutta la polvere del mondo in faccia
Quando guarire è un atto collettivo
prefazione di Massimo Cirri
Milano, Terre di mezzo, 2024
p. 216 – € 14,00

Paola Tellaroli racconta usando molte metafore, moltissime, senza aderire completamente a nessuna. Sta dentro quello che le è accaduto, porta con sé noi lettori, descrive e dice – di sé, del suo vacillare, dello smarrimento, della fatica immane, dello sfinimento, delle energie ritrovate, dell’andare avanti e dello scivolare, del suo cambiare – senza bisogno di appoggiarsi a un metaforico già depositato. Parla di scarcerazione – mi ha colpito – per raccontare la fine del lungo periodo di riabilitazione in un ospedale al Lido di Venezia, ma dalla metafora della galera non si fa intrappolare. Parla del trampolino della vita, da dove è pronta a tuffarsi e la malattia le bussa alla spalla; di rabbia che sente salire per l’ingiustizia e che la corrode come lava; di come ci si sente in motorino “con il vento tra i capelli e le mani alzate prima dello schianto”. E di lei che “calciando come fossi una bambina l’acqua del bagnasciuga del Lido, calciavo anche quell’ictus un po’ più in là e mi sembrava di essere pronta ad affrontare la mia nuova vita… così splendidamente normale”. Una narrazione dettagliata, minuziosa perché la vita è un incastro di piccoli frammenti. Con il dolore al centro e una nuvola di relazioni, interazioni, scambi che vengono mutati dall’irrompere violento della malattia e continuano a cambiare nel mondo nuovo, da ricostruire, del dopo. C’è, mi sembra, in controluce, sottostante e mai soffocante, il tema del ritorno, l’arrivo a una vita normale dopo un evento sconquassante. Ma anche questo è un filo che si dipana in molti diversi snodi. Filo conduttore che non imbriglia. Perché, mi pare Paola lo dica continuamente, il ritorno non può essere a una dimensione data in precedenza. Il paesaggio è mutato, tocca tornare ma in un posto un po’ diverso. E nessuna vita di prima, vista da vicino, è normale. La scrittura, dice Paola, è uno degli strumenti per cucire quella frattura: “recuperare i pezzi di me e cercare di ricomporli”. Ma poi, alla svelta, si volta pagina.

[dalla prefazione di Massimo Cirri]


il testo di Paola Tellaroli ha vinto il Premio Pieve Saverio Tutino 2023: la scheda

dalla motivazione della Giuria Nazionale:
Paola ha 31 anni, è una giovane donna piena di iniziative, di sogni, determinata. È assegnista in biostatistica, ha un compagno, si sente “in motorino con il vento tra i capelli, le mani alzate prima dello schianto”. Lo schianto arriva la sera del 14 febbraio quando un grumo di sangue si deposita nel cervello di Paola. È vittima di un ictus ischemico cerebrale, ma nessuno può ancora immaginarlo. Al pronto soccorso la diagnosi corretta arriva dopo nove lunghe ore. Al risveglio scopre progressivamente i danni che ha subito il suo corpo: la paralisi della parte destra, l’impossibilità di comunicare. Ma Paola non si scoraggia e comincia un lungo cammino di riabilitazione, reso possibile anche dalla vicinanza degli affetti, del compagno e degli amici, un “branco di delfini” che le ha dato la forza necessaria. Questo assaggio di mortalità le fa capire di non essere invincibile, bensi vulnerabile come tutti.
Paola ci consegna un diario del presente pieno di ironia e di capacità di autoanalisi, oltre che una lucida critica verso la burocrazia del sistema sanitario. A cinque anni dall’ictus, è pronta a riprendere la strada che si era bruscamente interrotta: prepara lo zaino e parte per l’Amazzonia.

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